Turismo sostenibile tra realtà e apparenza. Brevi appunti di sociologia

Il turismo moderno è un fenomeno ampiamente partecipato da tutti gli strati sociali, in quanto si è ormai affermato come importante componente di sviluppo socio-economico di un determinato territorio. Assume dunque i connotati di una forza centripeta, che attrae vari “attori turistici” ordinari e saltuari, al fine di raggiungere un equilibrio tra domanda, offerta e luogo deputato. Un tema complesso e trasversale, che si alimenta principalmente di un’attenta analisi sociologica, in quanto interdipendente con la componente umana. Questo lavoro si annuncia come il preambolo di una serie di articoli sul tema, volti a sviscerare le numerose analisi specifiche che ne possono derivare.

Turisti e comunità: la degenerazione socio-economica

Partendo dal fruitore del fenomeno turistico, ossia il turista in senso stretto, esso appare, sotto un profilo sociologico, come la conseguenza di una scissione della vita lavorativa dalla vita personale; il tempo libero si configura in fuga psicologica, in quanto risultato dell’alienazione professionale e nella sfera privata, quest’ultima spesso incapace di liberare l’espressività di ciascuno. Ne deriva dunque un’evasione verso l’extra-quotidiano, il più delle volte “istigato” da un accesso superficiale  e omologato alla comunicazione di massa, con il rischio di ricercare inconsciamente gli stessi elementi nocivi della società metropolitana, seppur sotto diverse vesti. Si traduce così nella ricerca di una “bolla esperienziale”, dove il territorio è al servizio dei bisogni del singolo viaggiatore e l’ambiente ideale è quello più funzionale: tutte risorse da sfruttare per rendere più distante la percezione della quotidianità e vivere lo “stordimento del viaggio”. L’esperienza è quindi la scoperta di un’icona, un luogo unico da vivere emotivamente, celebrare temporaneamente e infine conservare nel ritorno alla propria sfera personale[1]. Di conseguenza, si predilige un ventaglio di possibilità di qualsiasi matrice –culturale, antropologica, naturalistica, artistica etc.- per la ricerca della propria temporanea icona, realizzando così una vera e propria domanda all’industria turistica e alle comunità locali di predisporre un’offerta variegata e incline a promuovere l’unicità.

Analizzando questi ultimi, appare evidente che la partecipazione sociale e in massa dei cosiddetti stakeholders può portare facilmente a numerose degenerazioni sul piano territoriale, in quanto il turismo si prospetta come un’occasione di sviluppo economico primario. La prima degenerazione è la perdita di identità della comunità, chiamata a rispondere ai flussi turistici con un’offerta inclusiva e confortevole nonché a “commerciare” i propri costumi. Viene messa così in discussione la sostenibilità sociale, in quanto lo stravolgimento della vita delle comunità locali e l’incremento del costo della vita si realizza in una falsificazione della realtà autoctona per fini turistici. Si incentiva inoltre, spontaneamente, una “competizione” tra i vari territori e attori comunitari, alla ricerca di una specifica unicità spendibile sul mercato turistico –la potenziale icona sopra menzionata- con il rischio di non valutare la capacità di carico di un ambiente ed estromettendo nuove realtà emergenti e di diversa natura, saturando così il territorio.

Foto 1- Il progetto di promozione turistica “Cuore Basilicata”, sponsorizzato da ENI

Non per ultimo, la degenerazione di un “turismo esperienziale” in un “turismo di massa”: la principale preoccupazione è data dalle strutture sociali più “deboli”, come le aree rurali e le piccole comunità che rischiano una congestione di natura antropogenica, producendo nel tempo <<aree umanamente inabitabili>>[2]. Questa pressione antropica si tramuta potenzialmente in overtourism, ossia l’impatto negativo, nel lungo periodo, del turismo sul territorio, in quanto un determinato luogo eccede la soglia della capacità fisica, ecologica, economica e sociale. Un rischio verosimilmente attuale, in quanto è evidente l’espansione dell’industria turistica verso le aree interne e zone montane, capaci di offrire possibilità di esperienze inedite. A questo si lega inoltre lo sviluppo del sistema dei macro-attrattori, visti come un fattore di successo per le aree “minori”[3]; un’azione di stravolgimento delle risorse naturali e paesaggistiche dei territori, con l’ingresso di grandi società che riducono il turismo a un’impresa puramente economica e di sviluppo capitalistico (foto 1). Il turismo appare così come una risorsa da sfruttare, una <<occasione pianificata di invasione e poi di distruzione del territorio e dell’arte>>.

La (in)sostenibilità e la frontiera dell’ecoturismo

Foto 2- La scalinata di “Murgia Timone” nel Parco Regionale della Murgia Materana. Foto di: www.salviamoilpaesaggio.it

Il turismo sostenibile è un tema di recente sviluppo: dopo la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 e la conseguente Carta di Lanzarote del 1995, si sono stabiliti dei principi globali affinché il turismo sia compatibile con le risorse naturali e intergenerazionali. Risulta però evidente che la regolazione di un “turismo sostenibile” è un processo prettamente teorico, in quanto si scontra principalmente con le esigenze dei fruitori e l’adattamento all’ambiente. Nel contesto delle aree protette, ad esempio, si tende a trovare un compromesso tra la tutela ambientale e le promesse di sviluppo economico per la comunità; un dicotomia che, a volte, degenera nella creazione di spazi turistici ex-novo e soluzioni “artificiali” (foto 2), anteponendo lo sviluppo di un “turismo naturalistico” a danni ambientali considerati “lievi”. Di conseguenza, il concetto di “sostenibilità” spesso si riduce nella semplice offerta di esperienze in contesti naturali tralasciando tutta la dialettica del tema, la quale si rivolge più a un cambiamento dello stile di vita quotidiano piuttosto che ad una mera attività di operatori stagionali. Un sistema, questo, potenzialmente –e paradossalmente- nocivo per l’ambiente, poiché si tendono a giustificare delle azioni dannose per gli habitat e la biodiversità.

Nella evidente complessità di questo fenomeno sociale una soluzione viene suggerita dal modello di ecoturismo: con questo termine si intende propriamente una pratica turistica sensibile agli aspetti ambientali, che al piacere di scoprire e conoscere gli ecosistemi combina delle azioni concrete a favore della loro conservazione, le quali prevedono il coinvolgimento attivo dell’ecoturista stesso[4]. Un fenomeno più incline alla figura del viaggiatore e scopritore più che ad un bisogno di evasione dal quotidiano; il “turista” si scopre così partecipe di una “comunità ecologica” e di un progetto di conservazione delle risorse naturali, dove il turismo assume il carattere di accoglienza di nuovi viaggiatori e condivisione di saperi. Questa pratica permette, dunque, di prescindere dalla logica di consumo a favore di una visione più sociale e comunitaria, contribuendo contemporaneamente allo sviluppo della comunità e alla richiesta di un’esperienza autentica del viaggiatore. La figura dell’ecoturista annuncia inoltre un cambio di prospettiva nella dicotomia uomo-ambiente: il prefisso eco- mostra la propensione nell’abbandonare la visione antropocentrica, dove l’ambiente esiste in funzione del benessere umano, a favore dell’ecocentrismo, che pone gli ecosistemi e l’uomo su un piano orizzontale, in una visione integrata.

Fabrizio Gerardo Lioy

Citazioni:

[1] E. Sgroi, Sicilia è turismo. Dallo slogan facile al progetto (meno facile), Nuove Effemeridi, 55, 2001.

[2] G. Catelli, Turismo agricolo e società industriale, in C. Stroppa, Sviluppo del territorio e ruolo del turismo, Bologna, Clueb, 1976.

[3] Questa citazione tende a mostrare come l’approvazione dei macro-attrattori sia supportata anche nella letteratura dalle grandi società di capitali (in questo caso, dalla FEEM).

[4] Fonti: D. Holing, Earth trips, Los Angeles, Living Planet, 1992; L. Savoja, Turismo sostenibile e stakeholder models, Notizie di Politeia, 23, 2007.

Bibliografia:

G. Catelli, Turismo agricolo e società industriale, in C. Stroppa, Sviluppo del territorio e ruolo del turismo, Bologna, Clueb, 1976.

L. Chiarullo, D. Colangelo e M. De Filippo, Attrattività e competitività delle destinazioni: fattori di successo e sfide per il sistema ospitale delle aree protette lucane, Annali del Turismo, 173, 2016.

L. Gobbi, Per una sociologia della mobilità:forme emergenti di turismo nella società globalizzata. Turismo e questioni di genere, Scienze Politiche Università Roma Tre, 2010.

D. Holing, Earth trips, Los Angeles, Living Planet, 1992.

M. Indovino, Overtourism: cause, effetti e soluzioni, Dipartimento di Economia e Management Luiss Roma, 2019.

E. Lombardo, Turismo e sostenibilità. Fra geografia e sociologia, Cultura e territorio Università “Tor Vergata”, 2009.

M. Palumbo, Turismo ligure: verso una nuova immagine, Sociologia Urbana e Rurale, 38, 1992.

F. Pardi, Il turismo e il suo codice, Sociologia Urbana e Rurale, 38, 1992.

O. Pieroni e T. Romita (a cura di), Viaggiare, conoscere e rispettare l’ambiente. Verso il turismo sostenibile, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003.

A. Savelli, Sociologia del turismo, Milano, Franco Angeli, 1998.

A. Savelli (a cura di), Spazio turistico e società globale, Milano, Franco Angeli, 2008.

A. Savelli, I percorsi nella sociologia del turismo in Italia, Rivista di Scienze del Turismo, 1, 2011.

L. Savoja, La costruzione sociale del turismo, Torino, Giappichelli, 2005.

L. Savoja, Turismo sostenibile e stakeholder models, Notizie di Politeia, 23, 2007.

E. Sgroi, Sicilia è turismo. Dallo slogan facile al progetto (meno facile), Nuove Effemeridi, 55, 2001.

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